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Da Napoleone ai giorni nostri
La tranquilla operosità della valle, scelta dal governo per l'impianto di una fabbrica di vetri e cristalli assunta ben presto a rinomanza internazionale per la finezza dei manufatti, molti dei quali esposti nel Museo, nel 1800 viene temporaneamente scossa dal turbine napoleonico, ma ben presto un processo di rinnovamento tecnologico investe ogni settore dell'economia locale.
Pur privo di sbocchi diretti con la Francia e la riviera ligure, il comune sa valorizzare con successo le notevoli potenzialità agricole e zootecniche (castagne, legname, prodotti del sottobosco, latticini, cereali) e artigianali, derivate dallo sfruttamento dell'energia idrica del torrente Pesio: fabbriche di stoviglie comuni, filande, falegnamerie, martinetti, mulini, e soprattutto la ceramica, che dalla metà dell'Ottocento diventa il volano dell'economia del comune. Uno dei più attivi imprenditori locali, il Cavalier Avena, proprietario della vetreria e di un vasto patrimonio fondiario, trasforma la Certosa abbandonata in un albergo termale di fama europea e in una zona collinare incolta crea dal nulla la stupenda palazzina neoclassica di Mombrisone. Nel 1862, dopo l'unificazione dell'Italia, il comune assume la denominazione di Chiusa di Pesio.
Il crescente flusso migratorio dalle aree montane, prive di adeguate risorse, e la grande guerra dissanguano il comune, a partire dalla montagna, quella stessa che nel periodo della resistenza vede operare con successo una piccola, ma coraggiosa banda partigiana guidata dal capitano Cosa, e che ora rivive nel sacrario partigiano di Certosa e nel Museo comunale. L'alta valle Pesio oggi è tornata a vivere grazie alla presenza del Parco naturale e della Certosa di Pesio.
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